Paradiso (66 page)

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Authors: Dante

BOOK: Paradiso
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A questa voce vid’ io più fiammelle   

               
di grado in grado scendere e girarsi,

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e ogne giro le facea più belle.

               
Dintorno a questa vennero e fermarsi,

               
e fero un grido di sì alto suono,

               
che non potrebbe qui assomigliarsi;

142
         
né io lo ’ntesi, sì mi vinse il tuono.

PARADISO XXII

               
Oppresso di stupore, a la mia guida   

   

               
mi volsi, come parvol che ricorre

3
             
sempre colà dove più si confida;

               
e quella, come madre che soccorre   

               
sùbito al figlio palido e anelo

6
             
con la sua voce, che ’l suol ben disporre,

               
mi disse: “Non sai tu che tu se’ in cielo?   

               
e non sai tu che ’l cielo è tutto santo,

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e ciò che ci si fa vien da buon zelo?

               
Come t’avrebbe trasmutato il canto,   

   

               
e io ridendo, mo pensar lo puoi,

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poscia che ’l grido t’ha mosso cotanto;

               
nel qual, se ’nteso avessi i prieghi suoi,   

               
già ti sarebbe nota la vendetta

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che tu vedrai innanzi che tu muoi.

               
La spada di qua sù non taglia in fretta   

               
né tardo, ma’ ch’al parer di colui

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che disïando o temendo l’aspetta.

               
Ma rivolgiti omai inverso altrui;   

               
ch’assai illustri spiriti vedrai,   

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se com’ io dico l’aspetto redui.”

               
Come a lei piacque, li occhi ritornai,

               
e vidi cento sperule che ’nsieme   

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più s’abbellivan con mutüi rai.

               
Io stava come quei che ’n sé repreme   

               
la punta del disio, e non s’attenta

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di domandar, sì del troppo si teme;

               
e la maggiore e la più luculenta   

               
di quelle margherite innanzi fessi,

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per far di sé la mia voglia contenta.

               
Poi dentro a lei udi’: “Se tu vedessi   

   

               
com’ io la carità che tra noi arde,

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li tuoi concetti sarebbero espressi.

               
Ma perché tu, aspettando, non tarde

               
a l’alto fine, io ti farò risposta

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pur al pensier, da che si ti riguarde.

               
Quel monte a cui Cassino è ne la costa   

               
fu frequentato già in su la cima

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da la gente ingannata e mal disposta;   

               
e quel son io che sù vi portai prima

               
lo nome di colui che ’n terra addusse

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la verità che tanto ci soblima;

               
e tanta grazia sopra me relusse,

               
ch’io ritrassi le ville circunstanti

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da l’empio cólto che ’l mondo sedusse.   

               
Questi altri fuochi tutti contemplanti   

               
uomini fuoro, accesi di quel caldo

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che fa nascere i fiori e ’ frutti santi.   

               
Qui è Maccario, qui è Romoaldo,   

               
qui son li frati miei che dentro ai chiostri   

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fermar li piedi e tennero il cor saldo.”

               
E io a lui: “L’affetto che dimostri   

               
meco parlando, e la buona sembianza

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ch’io veggio e noto in tutti li ardor vostri,

               
così m’ha dilatata mia fidanza,

               
come ’l sol fa la rosa quando aperta

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tanto divien quant’ ell’ ha di possanza.

               
Però ti priego, e tu, padre, m’accerta   

               
s’io posso prender tanta grazia, ch’io

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ti veggia con imagine scoverta.”

               
Ond’ elli: “Frate, il tuo alto disio   

   

               
s’adempierà in su l’ultima spera,

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ove s’adempion tutti li altri e ’l mio.

               
Ivi è perfetta, matura e intera   

               
ciascuna disïanza; in quella sola

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è ogne parte là ove sempr’ era,

               
perchè non è in loco e non s’impola;   

               
e nostra scala infino ad essa varca,   

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onde così dal viso ti s’invola.

               
Infin là sù la vide il patriarca   

               
Iacobbe porger la superna parte,

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quando li apparve d’angeli sì carca.

               
Ma, per salirla, mo nessun diparte   

               
da terra i piedi, e la regola mia

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rimasa è per danno de le carte.

               
Le mura che solieno esser badia

               
fatte sono spelonche, e le cocolle   

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sacca son piene di farina ria.

               
Ma grave usura tanto non si tolle

               
contra ’l piacer di Dio, quanto quel frutto

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che fa il cor de’ monaci sì folle;

               
chè quantunque la Chiesa guarda, tutto

               
è de la gente che per Dio dimanda;

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non di parenti nè d’altro più brutto.

               
La carne d’i mortali è tanto blanda,   

               
che giù non basta buon cominciamento

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dal nascer de la quercia al far la ghianda.

               
Pier cominciò sanz’ oro e sanz’ argento,   

   

               
e io con orazione e con digiuno,   

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e Francesco umilmente il suo convento;

               
e se guardi ’l principio di ciascuno,

               
poscia riguardi là dov’ è trascorso,

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tu vederai del bianco fatto bruno.   

               
Veramente Iordan vòlto retrorso   

               
più fu, e ’l mar fuggir, quando Dio volse,

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mirabile a veder che qui ’l soccorso.”

               
Così mi disse, e indi si raccolse   

               
al suo collegio, e ’l collegio si strinse;

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poi, come turbo, in sù tutto s’avvolse.

               
La dolce donna dietro a lor mi pinse   

               
con un sol cenno su per quella scala,

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sì sua virtù la mia natura vinse;   

               
né mai qua giù dove si monta e cala

               
naturalmente, fu sì ratto moto

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ch’agguagliar si potesse a la mia ala.

               
S’io torni mai, lettore, a quel divoto   

               
trïunfo per lo quale io piango spesso

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le mie peccata e ’l petto mi percuoto,

               
tu non avresti in tanto tratto e messo   

   

               
nel foco il dito, in quant’ io vidi ’l segno

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che segue il Tauro e fui dentro da esso.

               
O glorïose stelle, o lume pregno   

               
di gran virtù, dal quale io riconosco

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tutto, qual che si sia, il mio ingegno,

               
con voi nasceva e s’ascondeva vosco

               
quelli ch’è padre d’ogne mortal vita,

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quand’ io senti’ di prima l’aere tosco;

               
e poi, quando mi fu grazia largita

               
d’entrar ne l’alta rota che vi gira,

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la vostra regïon mi fu sortita.

               
A voi divotamente ora sospira   

               
l’anima mia, per acquistar virtute

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al passo forte che a sé la tira.   

               
“Tu se’ sì presso a l’ultima salute,”   

   

               
cominciò Bëatrice, “che tu dei

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aver le luci tue chiare e acute;

               
e però, prima che tu più t’inlei,   

               
rimira in giù, e vedi quanto mondo

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sotto li piedi già esser ti fei;   

               
sì che ’l tuo cor, quantunque può, giocondo

               
s’appresenti a la turba trïunfante   

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che lieta vien per questo etera tondo.”   

               
Col viso ritornai per tutte quante   

               
le sette spere, e vidi questo globo   

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tal, ch’io sorrisi del suo vil sembiante;

               
e quel consiglio per migliore approbo

               
che l’ha per meno; e chi ad altro pensa

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chiamar si puote veramente probo.

               
Vidi la figlia di Latona incensa   

   

               
sanza quell’ ombra che mi fu cagione

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per che già la credetti rara e densa.

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