Authors: Dante
A questa voce vid’ io più fiammelle
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di grado in grado scendere e girarsi,
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e ogne giro le facea più belle.
Dintorno a questa vennero e fermarsi,
e fero un grido di sì alto suono,
che non potrebbe qui assomigliarsi;
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né io lo ’ntesi, sì mi vinse il tuono.
Oppresso di stupore, a la mia guida
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mi volsi, come parvol che ricorre
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sempre colà dove più si confida;
e quella, come madre che soccorre
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sùbito al figlio palido e anelo
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con la sua voce, che ’l suol ben disporre,
mi disse: “Non sai tu che tu se’ in cielo?
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e non sai tu che ’l cielo è tutto santo,
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e ciò che ci si fa vien da buon zelo?
Come t’avrebbe trasmutato il canto,
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e io ridendo, mo pensar lo puoi,
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poscia che ’l grido t’ha mosso cotanto;
nel qual, se ’nteso avessi i prieghi suoi,
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già ti sarebbe nota la vendetta
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che tu vedrai innanzi che tu muoi.
La spada di qua sù non taglia in fretta
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né tardo, ma’ ch’al parer di colui
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che disïando o temendo l’aspetta.
Ma rivolgiti omai inverso altrui;
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ch’assai illustri spiriti vedrai,
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se com’ io dico l’aspetto redui.”
Come a lei piacque, li occhi ritornai,
e vidi cento sperule che ’nsieme
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più s’abbellivan con mutüi rai.
Io stava come quei che ’n sé repreme
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la punta del disio, e non s’attenta
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di domandar, sì del troppo si teme;
e la maggiore e la più luculenta
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di quelle margherite innanzi fessi,
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per far di sé la mia voglia contenta.
Poi dentro a lei udi’: “Se tu vedessi
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com’ io la carità che tra noi arde,
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li tuoi concetti sarebbero espressi.
Ma perché tu, aspettando, non tarde
a l’alto fine, io ti farò risposta
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pur al pensier, da che si ti riguarde.
Quel monte a cui Cassino è ne la costa
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fu frequentato già in su la cima
e quel son io che sù vi portai prima
lo nome di colui che ’n terra addusse
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la verità che tanto ci soblima;
e tanta grazia sopra me relusse,
ch’io ritrassi le ville circunstanti
Questi altri fuochi tutti contemplanti
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uomini fuoro, accesi di quel caldo
Qui è Maccario, qui è Romoaldo,
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qui son li frati miei che dentro ai chiostri
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fermar li piedi e tennero il cor saldo.”
E io a lui: “L’affetto che dimostri
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meco parlando, e la buona sembianza
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ch’io veggio e noto in tutti li ardor vostri,
così m’ha dilatata mia fidanza,
come ’l sol fa la rosa quando aperta
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tanto divien quant’ ell’ ha di possanza.
Però ti priego, e tu, padre, m’accerta
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s’io posso prender tanta grazia, ch’io
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ti veggia con imagine scoverta.”
Ond’ elli: “Frate, il tuo alto disio
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s’adempierà in su l’ultima spera,
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ove s’adempion tutti li altri e ’l mio.
Ivi è perfetta, matura e intera
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ciascuna disïanza; in quella sola
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è ogne parte là ove sempr’ era,
perchè non è in loco e non s’impola;
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e nostra scala infino ad essa varca,
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onde così dal viso ti s’invola.
Infin là sù la vide il patriarca
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Iacobbe porger la superna parte,
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quando li apparve d’angeli sì carca.
Ma, per salirla, mo nessun diparte
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da terra i piedi, e la regola mia
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rimasa è per danno de le carte.
Le mura che solieno esser badia
fatte sono spelonche, e le cocolle
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sacca son piene di farina ria.
Ma grave usura tanto non si tolle
contra ’l piacer di Dio, quanto quel frutto
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che fa il cor de’ monaci sì folle;
chè quantunque la Chiesa guarda, tutto
è de la gente che per Dio dimanda;
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non di parenti nè d’altro più brutto.
La carne d’i mortali è tanto blanda,
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che giù non basta buon cominciamento
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dal nascer de la quercia al far la ghianda.
Pier cominciò sanz’ oro e sanz’ argento,
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e io con orazione e con digiuno,
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e Francesco umilmente il suo convento;
e se guardi ’l principio di ciascuno,
poscia riguardi là dov’ è trascorso,
Veramente Iordan vòlto retrorso
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più fu, e ’l mar fuggir, quando Dio volse,
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mirabile a veder che qui ’l soccorso.”
Così mi disse, e indi si raccolse
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al suo collegio, e ’l collegio si strinse;
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poi, come turbo, in sù tutto s’avvolse.
La dolce donna dietro a lor mi pinse
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con un sol cenno su per quella scala,
né mai qua giù dove si monta e cala
naturalmente, fu sì ratto moto
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ch’agguagliar si potesse a la mia ala.
S’io torni mai, lettore, a quel divoto
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trïunfo per lo quale io piango spesso
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le mie peccata e ’l petto mi percuoto,
tu non avresti in tanto tratto e messo
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nel foco il dito, in quant’ io vidi ’l segno
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che segue il Tauro e fui dentro da esso.
O glorïose stelle, o lume pregno
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di gran virtù, dal quale io riconosco
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tutto, qual che si sia, il mio ingegno,
con voi nasceva e s’ascondeva vosco
quelli ch’è padre d’ogne mortal vita,
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quand’ io senti’ di prima l’aere tosco;
e poi, quando mi fu grazia largita
d’entrar ne l’alta rota che vi gira,
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la vostra regïon mi fu sortita.
A voi divotamente ora sospira
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l’anima mia, per acquistar virtute
“Tu se’ sì presso a l’ultima salute,”
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cominciò Bëatrice, “che tu dei
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aver le luci tue chiare e acute;
e però, prima che tu più t’inlei,
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rimira in giù, e vedi quanto mondo
sì che ’l tuo cor, quantunque può, giocondo
s’appresenti a la turba trïunfante
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Col viso ritornai per tutte quante
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le sette spere, e vidi questo globo
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tal, ch’io sorrisi del suo vil sembiante;
e quel consiglio per migliore approbo
che l’ha per meno; e chi ad altro pensa
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chiamar si puote veramente probo.