Authors: Dante
La luce in che rideva il mio tesoro
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ch’io trovai lì, si fé prima corusca,
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quale a raggio di sole specchio d’oro;
indi rispuose: “Coscïenza fusca
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o de la propria o de l’altrui vergogna
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pur sentirà la tua parola brusca.
Ma nondimen, rimossa ogne menzogna,
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tutta tua visïon fa manifesta;
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e lascia pur grattar dov’ è la rogna.
Ché se la voce tua sarà molesta
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nel primo gusto, vital nodrimento
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lascerà poi, quando sarà digesta.
Questo tuo grido farà come vento,
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che le più alte cime più percuote;
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e ciò non fa d’onor poco argomento.
Però ti son mostrate in queste rote,
nel monte e ne la valle dolorosa
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pur l’anime che son di fama note,
che l’animo di quel ch’ode, non posa
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né ferma fede per essempro ch’aia
la sua radice incognita e ascosa,
Già si godeva solo del suo verbo
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quello specchio beato, e io gustava
e quella donna ch’a Dio mi menava
disse: “Muta pensier; pensa ch’i’ sono
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presso a colui ch’ogne torto disgrava.”
Io mi rivolsi a l’amoroso suono
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del mio conforto; e qual io allor vidi
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ne li occhi santi amor, qui l’abbandono:
non perch’ io pur del mio parlar diffidi,
ma per la mente che non può redire
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sovra sé tanto, s’altri non la guidi.
Tanto poss’ io di quel punto ridire,
che, rimirando lei, lo mio affetto
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libero fu da ogne altro disire,
fin che ’l piacere etterno, che diretto
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raggiava in Bëatrice, dal bel viso
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mi contentava col secondo aspetto.
Vincendo me col lume d’un sorriso,
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ella mi disse: “Volgiti e ascolta;
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ché non pur ne’ miei occhi è paradiso.”
Come si vede qui alcuna volta
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l’affetto ne la vista, s’elli è tanto,
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che da lui sia tutta l’anima tolta,
così nel fiammeggiar del folgór santo,
a ch’io mi volsi, conobbi la voglia
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in lui di ragionarmi ancora alquanto.
El cominciò: “In questa quinta soglia
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de l’albero che vive de la cima
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e frutta sempre e mai non perde foglia,
spiriti son beati, che giù, prima
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che venissero al ciel, fuor di gran voce,
Però mira ne’ corni de la croce:
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quello ch’io nomerò, lì farà l’atto
Così per Carlo Magno e per Orlando
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due ne seguì lo mio attento sguardo,
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com’ occhio segue suo falcon volando.
Indi, tra l’altre luci mota e mista,
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mostrommi l’alma che m’avea parlato
Io mi rivolsi dal mio destro lato
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per vedere in Beatrice il mio dovere,
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o per parlare o per atto, segnato;
e vidi le sue luci tanto mere,
tanto gioconde, che la sua sembianza
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vinceva li altri e l’ultimo solere.
E come, per sentir più dilettanza
bene operando, l’uom di giorno in giorno
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s’accorge che la sua virtute avanza,
sì m’accors’ io che ’l mio girare intorno
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col cielo insieme avea cresciuto l’arco,
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veggendo quel miracol più addorno.
E qual è ’l trasmutare in picciol varco
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di tempo in bianca donna, quando ’l volto
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suo si discarchi di vergogna il carco,
tal fu ne li occhi miei, quando fui vòlto,
per lo candor de la temprata stella
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sesta, che dentro a sé m’avea ricolto.
Io vidi in quella giovïal facella
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lo sfavillar de l’amor che lì era
E come augelli surti di rivera,
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quasi congratulando a lor pasture,
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fanno di sé or tonda or altra schiera,
Prima, cantando, a sua nota moviensi;
poi, diventando l’un di questi segni,
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un poco s’arrestavano e taciensi.
O diva Pegasëa che li ’ngegni
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fai glorïosi e rendili longevi,
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ed essi teco le cittadi e ’ regni,
illustrami di te, sì ch’io rilevi
le lor figure com’ io l’ho concette:
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paia tua possa in questi versi brevi!
Mostrarsi dunque in cinque volte sette
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vocali e consonanti; e io notai
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le parti sì, come mi parver dette.
“DILIGITE IUSTITIAM,”
primai
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fur verbo e nome di tutto ’l dipinto;
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“QUI IUDICATIS TERRAM,”
fur sezzai.
Poscia ne l’emme del vocabol quinto
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rimasero ordinate; sì che Giove
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pareva argento lì d’oro distinto.
E vidi scendere altre luci dove
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era il colmo de l’emme, e lì quetarsi
Poi, come nel percuoter d’i ciocchi arsi
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surgono innumerabili faville,
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onde li stolti sogliono agurarsi,
resurger parver quindi più di mille
luci e salir, qual assai e qual poco,
e quïetata ciascuna in suo loco,
la testa e ’l collo d’un’aguglia vidi
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rappresentare a quel distinto foco.
Quei che dipinge lì, non ha chi ’l guidi;
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ma esso guida, e da lui si rammenta
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quella virtù ch’è forma per li nidi.
L’altra bëatitudo, che contenta
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pareva prima d’ingigliarsi a l’emme,
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con poco moto seguitò la ’mprenta.
O dolce stella, quali e quante gemme
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mi dimostraro che nostra giustizia
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effetto sia del ciel che tu ingemme!