Authors: Dante
ed ènne dolce così fatto scemo,
perché il ben nostro in questo ben s’affina,
138
che quel che vole Iddio, e noi volemo.”
Così da quella imagine divina,
→
per farmi chiara la mia corta vista,
E come a buon cantor buon citarista
→
fa seguitar lo guizzo de la corda,
144
in che più di piacer lo canto acquista,
sì, mentre ch’e’ parlò, sì mi ricorda
ch’io vidi le due luci benedette,
pur come batter d’occhi si concorda,
148
con le parole mover le fiammette.
Già eran li occhi miei rifissi al volto
→
de la mia donna, e l’animo con essi,
3
e da ogne altro intento s’era tolto.
E quella non ridea; ma “S’io ridessi,”
mi cominciò, “tu ti faresti quale
→
6
fu Semelè quando di cener fessi:
ché la bellezza mia, che per le scale
de l’etterno palazzo più s’accende,
→
9
com’ hai veduto, quanto più si sale,
se non si temperasse, tanto splende,
che ’l tuo mortal podere, al suo fulgore,
12
sarebbe fronda che trono scoscende.
Noi sem levati al settimo splendore,
→
che sotto ’l petto del Leone ardente
15
raggia mo misto giù del suo valore.
Ficca di retro a li occhi tuoi la mente,
→
e fa di quelli specchi a la figura
18
che ’n questo specchio ti sarà parvente.”
Qual savesse qual era la pastura
→
→
del viso mio ne l’aspetto beato
21
quand’ io mi trasmutai ad altra cura,
conoscerebbe quanto m’era a grato
ubidire a la mia celeste scorta,
Dentro al cristallo che ’l vocabol porta,
→
cerchiando il mondo, del suo caro duce
27
sotto cui giacque ogne malizia morta,
di color d’oro in che raggio traluce
→
vid’ io uno scaleo eretto in suso
→
30
tanto, che nol seguiva la mia luce.
Vidi anche per li gradi scender giuso
→
tanti splendor, ch’io pensai ch’ogne lume
33
che par nel ciel, quindi fosse diffuso.
E come, per lo natural costume,
→
→
le pole insieme, al cominciar del giorno,
36
si movono a scaldar le fredde piume;
poi altre vanno via sanza ritorno,
→
altre rivolgon sé onde son mosse,
39
e altre roteando fan soggiorno;
tal modo parve me che quivi fosse
in quello sfavillar che ’nsieme venne,
E quel che presso più ci si ritenne,
→
si fé sì chiaro, ch’io dicea pensando:
45
“Io veggio ben l’amor che tu m’accenne.
Ma quella ond’ io aspetto il come e ’l quando
→
del dire e del tacer, si sta; ond’ io,
48
contra ’l disio, fo ben ch’io non dimando.”
Per ch’ella, che vedëa il tacer mio
→
nel veder di colui che tutto vede,
E io incominciai: “La mia mercede
→
non mi fa degno de la tua risposta;
54
ma per colei che ’l chieder mi concede,
vita beata che ti stai nascosta
dentro a la tua letizia, fammi nota
57
la cagion che sì presso mi t’ha posta;
e dì perché si tace in questa rota
→
la dolce sinfonia di paradiso,
→
60
che giù per l’altre suona sì divota.”
“Tu hai l’udir mortal sì come il viso,”
→
rispuose a me; “onde qui non si canta
63
per quel che Bëatrice non ha riso.
Giù per li gradi de la scala santa
→
discesi tanto sol per farti festa
66
col dire e con la luce che mi ammanta;
né più amor mi fece esser più presta,
ché più e tanto amor quinci sù ferve,
69
sì come il fiammeggiar ti manifesta.
Ma l’alta carità, che ci fa serve
pronte al consiglio che ’l mondo governa,
72
sorteggia qui sì come tu osserve.”
“Io veggio ben,” diss’ io, “sacra lucerna,
→
come libero amore in questa corte
75
basta a seguir la provedenza etterna;
ma questo è quel ch’a cerner mi par forte,
perché predestinata fosti sola
→
78
a questo officio tra le tue consorte.”
Né venni prima a l’ultima parola,
che del suo mezzo fece il lume centro,
81
girando sé come veloce mola;
poi rispuose l’amor che v’era dentro:
“Luce divina sopra me s’appunta,
→
la cui virtù, col mio veder congiunta,
mi leva sopra me tanto, ch’i’ veggio
87
la somma essenza de la quale è munta.
Quinci vien l’allegrezza ond’ io fiammeggio;
per ch’a la vista mia, quant’ ella è chiara,
Ma quell’ alma nel ciel che più si schiara,
→
quel serafin che ’n Dio più l’occhio ha fisso,
93
a la dimanda tua non satisfara,
però che sì s’innoltra ne lo abisso
→
de l’etterno statuto quel che chiedi,
96
che da ogne creata vista è scisso.
E al mondo mortal, quando tu riedi,
questo rapporta, sì che non presumma
99
a tanto segno più mover li piedi.
La mente, che qui luce, in terra fumma;
onde riguarda come può là giùe
102
quel che non pote perché ’l ciel l’assumma.”
Sì mi prescrisser le parole sue,
→
ch’io lasciai la quistione e mi ritrassi
105
a dimandarla umilmente chi fue.
“Tra ’due liti d’Italia surgon sassi,
→
e non molto distanti a la tua patria,
108
tanto che’ troni assai suonan più bassi,
e fanno un gibbo che si chiama Catria,
di sotto al quale è consecrato un ermo,
Così ricominciommi il terzo sermo;
e poi, continüando, disse: “Quivi
114
al servigio di Dio mi fe’ sì fermo,
che pur con cibi di liquor d’ulivi
→
lievemente passava caldi e geli,
117
contento ne’ pensier contemplativi.
Render solea quel chiostro a questi cieli
fertilemente; e ora è fatto vano,
120
sì che tosto convien che si riveli.
In quel loco fu’ io Pietro Damiano,
→
e Pietro Peccator fu’ ne la casa
123
di Nostra Donna in sul lito adriano.
Poca vita mortal m’era rimasa,
quando fui chiesto e tratto a quel cappello,
→
126
che pur di male in peggio si travasa.
Or voglion quinci e quindi chi rincalzi
li moderni pastori e chi li meni,
132
tanto son gravi, e chi di rietro li alzi.