Authors: Dante
Quivi si vive e gode del tesoro
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che s’acquistò piangendo ne lo essilio
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di Babillòn, ove si lasciò l’oro.
Quivi trïunfa, sotto l’alto Filio
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di Dio e di Maria, di sua vittoria,
e con l’antico e col novo concilio,
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colui che tien le chiavi di tal gloria.
“O sodalizio eletto a la gran cena
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del benedetto Agnello, il qual vi ciba
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sì, che la vostra voglia è sempre piena,
se per grazia di Dio questi preliba
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di quel che cade de la vostra mensa,
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prima che morte tempo li prescriba,
ponete mente a l’affezione immensa
e roratelo alquanto: voi bevete
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sempre del fonte onde vien quel ch’ei pensa.”
Così Beatrice; e quelle anime liete
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si fero spere sopra fissi poli,
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fiammando, volte, a guisa di comete.
E come cerchi in tempra d’orïuoli
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si giran sì, che ’l primo a chi pon mente
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quïeto pare, e l’ultimo che voli;
così quelle carole, differente-
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mente danzando, de la sua ricchezza
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mi facieno stimar, veloci e lente.
Di quella ch’io notai di più carezza
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vid’ ïo uscire un foco sì felice,
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che nullo vi lasciò di più chiarezza;
e tre fïate intorno di Beatrice
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si volse con un canto tanto divo,
“O santa suora mia che sì ne prieghe
divota, per lo tuo ardente affetto
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da quella bella spera mi disleghe.”
Poscia fermato, il foco benedetto
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a la mia donna dirizzò lo spiro,
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che favellò così com’ i’ ho detto.
Ed ella: “O luce etterna del gran viro
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a cui Nostro Segnor lasciò le chiavi,
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ch’ei portò giù, di questo gaudio miro,
tenta costui di punti lievi e gravi,
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come ti place, intorno de la fede,
S’elli ama bene e bene spera e crede,
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non t’è occulto, perché ’l viso hai quivi
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dov’ ogne cosa dipinta si vede;
ma perché questo regno ha fatto civi
per la verace fede, a glorïarla,
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di lei parlare è ben ch’a lui arrivi.”
Sì come il baccialier s’arma e non parla
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fin che ’l maestro la question propone,
così m’armava io d’ogne ragione
mentre ch’ella dicea, per esser presto
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a tal querente e a tal professione.
“Dì, buon Cristiano, fatti manifesto:
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fede che è?” Ond’ io levai la fronte
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in quella luce onde spirava questo;
poi mi volsi a Beatrice, ed essa pronte
sembianze femmi perch’ïo spandessi
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l’acqua di fuor del mio interno fonte.
“La Grazia che mi dà ch’io mi confessi,”
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comincia’ io, “da l’alto primipilo,
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faccia li miei concetti bene espressi.”
E seguitai: “Come ’l verace stilo
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ne scrisse, padre, del tuo caro frate
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che mise teco Roma nel buon filo,
fede è sustanza di cose sperate
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e argomento de le non parventi;
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e questa pare a me sua quiditate.”
Allora udi’: “Dirittamente senti,
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se bene intendi perché la ripuose
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tra le sustanze, e poi tra li argomenti.”
E io appresso: “Le profonde cose
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che mi largiscon qui la lor parvenza,
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a li occhi di là giù son sì ascose,
che l’esser loro v’è in sola credenza,
sopra la qual si fonda l’alta spene;
E da questa credenza ci convene
silogizzar, sanz’ avere altra vista:
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però intenza d’argomento tene.”
Allora udi’: “Se quantunque s’acquista
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giù per dottrina, fosse così ’nteso,
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non lì avria loco ingegno di sofista.”
Così spirò di quello amore acceso;
indi soggiunse: “Assai bene è trascorsa
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d’esta moneta già la lega e ’l peso;
ma dimmi se tu l’hai ne la tua borsa.”
Ond’ io: “Sì ho, sì lucida e sì tonda,
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che nel suo conio nulla mi s’inforsa.”
Appresso uscì de la luce profonda
che lì splendeva: “Questa cara gioia
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sopra la quale ogne virtù si fonda,
onde ti venne?” E io: “La larga ploia
de lo Spirito Santo, ch’è diffusa
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in su le vecchie e ’n su le nuove cuoia,
è silogismo che la m’ha conchiusa
acutamente sì, che ’nverso d’ella
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ogne dimostrazion mi pare ottusa.”
Io udi’ poi: “L’antica e la novella
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proposizion che così ti conchiude,
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perché l’hai tu per vivina favella?”
E io: “La prova che ’l ver mi dischiude,
son l’opere seguite, a che natura
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non scalda ferro mai né batte incude.”
Risposto fummi: “Dì, chi t’assicura
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che quell’ opere fosser? Quel medesmo
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che vuol provarsi, non altri, il ti giura.”
“Se ’l mondo si rivolse al cristianesmo,”
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diss’ io, “sanza miracoli, quest’ uno
ché tu intrasti povero e digiuno
in campo, a seminar la buona pianta
Finito questo, l’alta corte santa
risonò per le spere un “Dio laudamo”
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ne la melode che là sù si canta.
E quel baron che sì di ramo in ramo,
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essaminando, già tratto m’avea,
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che a l’ultime fronde appressavamo,
ricominciò: “La Grazia, che donnea
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con la tua mente, la bocca t’aperse
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infino a qui come aprir si dovea,
sì ch’io approvo ciò che fuori emerse;
ma or convien espremer quel che credi,
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e onde a la credenza tua s’offerse.”
“O santo padre, e spirito che vedi
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ciò che credesti sì, che tu vincesti
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ver’ lo sepulcro più giovani piedi,”
comincia’ io, “tu vuo’ ch’io manifesti
la forma qui del pronto creder mio,
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e anche la cagion di lui chiedesti.
E io rispondo: Io credo in uno Dio
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solo ed etterno, che tutto ’l ciel move,
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non moto, con amore e con disio;
e a tal creder non ho io pur prove
fisice e metafisice, ma dalmi
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anche la verità che quinci piove