Authors: Dante
De la profonda condizion divina
ch’io tocco mo, la mente mi sigilla
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più volte l’evangelica dottrina.
Quest’ è ’l principio, quest’ è la favilla
che si dilata in fiamma poi vivace,
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e come stella in cielo in me scintilla.”
Come ’l segnor ch’ascolta quel che i piace,
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da indi abbraccia il servo, gratulando
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per la novella, tosto ch’el si tace;
così, benedicendomi cantando,
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tre volte cinse me, sì com’ io tacqui,
l’appostolico lume al cui comando
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io avea detto: sì nel dir li piacqui!
vinca la crudeltà che fuor mi serra
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del bello ovile ov’ io dormi’ agnello,
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nimico ai lupi che li danno guerra;
però che ne la fede, che fa conte
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l’anime a Dio, quivi intra’ io, e poi
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Pietro per lei sì mi girò la fronte.
Indi si mosse un lume verso noi
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di quella spera ond’ uscì la primizia
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che lasciò Cristo d’i vicari suoi;
e la mia donna, piena di letizia,
mi disse: “Mira, mira: ecco il barone
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Sì come quando il colombo si pone
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presso al compagno, l’uno a l’altro pande,
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girando e mormorando, l’affezione;
così vid’ ïo l’un da l’altro grande
principe glorïoso essere accolto,
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laudando il cibo che là sù li prande.
Ma poi che ’l gratular si fu assolto,
tacito
coram me
ciascun s’affisse,
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ignito sì che vincëa ’l mio volto.
Ridendo allora Bëatrice disse:
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“Inclita vita per cui la larghezza
fa risonar la spene in questa altezza:
tu sai, che tante fiate la figuri,
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quante Iesù ai tre fé più carezza.”
“Leva la testa e fa che t’assicuri:
ché ciò che vien qua sù del mortal mondo,
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convien ch’ai nostri raggi si maturi.”
Questo conforto del foco secondo
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mi venne; ond’ io leväi li occhi a’ monti
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che li ’ncurvaron pria col troppo pondo.
“Poi che per grazia vuol che tu t’affronti
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lo nostro Imperadore, anzi la morte,
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ne l’aula più secreta co’ suoi conti,
sì che, veduto il ver di questa corte,
la spene, che là giù bene innamora,
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in te e in altrui di ciò conforte,
dì quel ch’ell’ è, dì come se ne ’nfiora
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la mente tua, e dì onde a te venne.”
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Così seguì ’l secondo lume ancora.
“La Chiesa militante alcun figliuolo
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non ha con più speranza, com’ è scritto
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nel Sol che raggia tutto nostro stuolo:
però li è conceduto che d’Egitto
vegna in Ierusalemme per vedere,
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anzi che ’l militar li sia prescritto.
Li altri due punti, che non per sapere
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son dimandati, ma perch’ ei rapporti
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quanto questa virtù t’è in piacere,
a lui lasc’ io, ché non li saran forti
né di iattanza; ed elli a ciò risponda,
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e la grazia di Dio ciò li comporti.”
Come discente ch’a dottor seconda
pronto e libente in quel ch’elli è esperto,
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perché la sua bontà si disasconda,
“Spene,” diss’ io, “è uno attender certo
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de la gloria futura, il qual produce
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grazia divina e precedente merto.
Da molte stelle mi vien questa luce;
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ma quei la distillò nel mio cor pria
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che fu sommo cantor del sommo duce.
‘Sperino in te,’ ne la sua tëodia
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dice, ‘color che sanno il nome tuo’:
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e chi nol sa, s’elli ha la fede mia?
Tu mi stillasti, con lo stillar suo,
ne la pistola poi; sì ch’io son pieno,
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e in altrui vostra pioggia repluo.”
Mentr’ io diceva, dentro al vivo seno
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di quello incendio tremolava un lampo
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sùbito e spesso a guisa di baleno.
Indi spirò: “L’amore ond’ïo avvampo
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ancor ver’ la virtù che mi seguette
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infin la palma e a l’uscir del campo,
vuol ch’io respiri a te che ti dilette
di lei; ed emmi a grato che tu diche
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quello che la speranza ti ’mpromette.”
E io: “Le nove e le scritture antiche
pongon lo segno, ed esso lo mi addita,
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de l’anime che Dio s’ha fatte amiche.
Dice Isaia che ciascuna vestita
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ne la sua terra fìa di doppia vesta:
e ’l tuo fratello assai vie più digesta,
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là dove tratta de le bianche stole,
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questa revelazion ci manifesta.”
E prima, appresso al fin d’este parole,
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“
Sperent in te
” di sopr’ a noi s’udì;
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a che rispuoser tutte le carole.
Poscia tra esse un lume si schiarì
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sì che, se ’l Cancro avesse un tal cristallo,
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l’inverno avrebbe un mese d’un sol dì.
E come surge e va ed entra in ballo
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vergine lieta, sol per fare onore
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a la novizia, non per alcun fallo,
così vid’ io lo schiarato splendore
venire a’ due che si volgieno a nota
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qual conveniesi al loro ardente amore.
Misesi lì nel canto e ne la rota;
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e la mia donna in lor tenea l’aspetto,
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pur come sposa tacita e immota.
“Questi è colui che giacque sopra ’l petto
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del nostro pellicano, e questi fue
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di su la croce al grande officio eletto.”
La donna mia così; né però piùe
mosser la vista sua di stare attenta
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poscia che prima le parole sue.
Qual è colui ch’adocchia e s’argomenta
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di vedere eclissar lo sole un poco,
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che, per veder, non vedente diventa;
tal mi fec’ïo a quell’ ultimo foco
mentre che detto fu: “Perché t’abbagli
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per veder cosa che qui non ha loco?
In terra è terra il mio corpo, e saragli
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tanto con li altri, che ’l numero nostro
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con l’etterno proposito s’agguagli.
Con le due stole nel beato chiostro
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son le due luci sole che saliro;
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e questo apporterai nel mondo vostro.”