Paradiso (69 page)

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Authors: Dante

BOOK: Paradiso
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De la profonda condizion divina

               
ch’io tocco mo, la mente mi sigilla

144
         
più volte l’evangelica dottrina.

               
Quest’ è ’l principio, quest’ è la favilla

               
che si dilata in fiamma poi vivace,

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e come stella in cielo in me scintilla.”

               
Come ’l segnor ch’ascolta quel che i piace,   

               
da indi abbraccia il servo, gratulando

150
         
per la novella, tosto ch’el si tace;

               
così, benedicendomi cantando,   

               
tre volte cinse me, sì com’ io tacqui,

               
l’appostolico lume al cui comando

154
         
io avea detto: sì nel dir li piacqui!

PARADISO XXV

               
Se mai continga che ’l poema sacro   

   

               
al quale ha posto mano e cielo e terra,   

3
             
sì che m’ha fatto per molti anni macro,   

               
vinca la crudeltà che fuor mi serra   

               
del bello ovile ov’ io dormi’ agnello,   

6
             
nimico ai lupi che li danno guerra;

               
con altra voce omai, con altro vello   

   

               
ritornerò poeta, e in sul fonte   

9
             
del mio battesmo prenderò ’l cappello;   

               
però che ne la fede, che fa conte   

               
l’anime a Dio, quivi intra’ io, e poi

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Pietro per lei sì mi girò la fronte.

               
Indi si mosse un lume verso noi   

               
di quella spera ond’ uscì la primizia

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che lasciò Cristo d’i vicari suoi;

               
e la mia donna, piena di letizia,

               
mi disse: “Mira, mira: ecco il barone   

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per cui là giù si vicita Galizia.”   

               
Sì come quando il colombo si pone   

               
presso al compagno, l’uno a l’altro pande,

21
           
girando e mormorando, l’affezione;

               
così vid’ ïo l’un da l’altro grande

               
principe glorïoso essere accolto,

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laudando il cibo che là sù li prande.

               
Ma poi che ’l gratular si fu assolto,

               
tacito
coram me
ciascun s’affisse,   

27
           
ignito sì che vincëa ’l mio volto.

               
Ridendo allora Bëatrice disse:   

               
“Inclita vita per cui la larghezza

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de la nostra basilica si scrisse,   

               
fa risonar la spene in questa altezza:

               
tu sai, che tante fiate la figuri,   

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quante Iesù ai tre fé più carezza.”

               
“Leva la testa e fa che t’assicuri:

               
ché ciò che vien qua sù del mortal mondo,

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convien ch’ai nostri raggi si maturi.”

               
Questo conforto del foco secondo   

               
mi venne; ond’ io leväi li occhi a’ monti   

39
           
che li ’ncurvaron pria col troppo pondo.

               
“Poi che per grazia vuol che tu t’affronti   

               
lo nostro Imperadore, anzi la morte,

42
           
ne l’aula più secreta co’ suoi conti,

               
sì che, veduto il ver di questa corte,

               
la spene, che là giù bene innamora,

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in te e in altrui di ciò conforte,

               
dì quel ch’ell’ è, dì come se ne ’nfiora   

               
la mente tua, e dì onde a te venne.”

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Così seguì ’l secondo lume ancora.

               
E quella pïa che guidò le penne   

               
de le mie ali a così alto volo,

51
           
a la risposta così mi prevenne:

               
“La Chiesa militante alcun figliuolo   

               
non ha con più speranza, com’ è scritto

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nel Sol che raggia tutto nostro stuolo:

               
però li è conceduto che d’Egitto

               
vegna in Ierusalemme per vedere,

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anzi che ’l militar li sia prescritto.

               
Li altri due punti, che non per sapere   

               
son dimandati, ma perch’ ei rapporti

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quanto questa virtù t’è in piacere,

               
a lui lasc’ io, ché non li saran forti

               
né di iattanza; ed elli a ciò risponda,

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e la grazia di Dio ciò li comporti.”

               
Come discente ch’a dottor seconda

               
pronto e libente in quel ch’elli è esperto,

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perché la sua bontà si disasconda,

               
“Spene,” diss’ io, “è uno attender certo   

               
de la gloria futura, il qual produce

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grazia divina e precedente merto.

               
Da molte stelle mi vien questa luce;   

               
ma quei la distillò nel mio cor pria

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che fu sommo cantor del sommo duce.

               
‘Sperino in te,’ ne la sua tëodia   

   

               
dice, ‘color che sanno il nome tuo’:

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e chi nol sa, s’elli ha la fede mia?

               
Tu mi stillasti, con lo stillar suo,

               
ne la pistola poi; sì ch’io son pieno,

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e in altrui vostra pioggia repluo.”

               
Mentr’ io diceva, dentro al vivo seno   

               
di quello incendio tremolava un lampo

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sùbito e spesso a guisa di baleno.

               
Indi spirò: “L’amore ond’ïo avvampo   

               
ancor ver’ la virtù che mi seguette

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infin la palma e a l’uscir del campo,

               
vuol ch’io respiri a te che ti dilette

               
di lei; ed emmi a grato che tu diche

87
           
quello che la speranza ti ’mpromette.”

               
E io: “Le nove e le scritture antiche

               
pongon lo segno, ed esso lo mi addita,   

   

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de l’anime che Dio s’ha fatte amiche.

               
Dice Isaia che ciascuna vestita   

               
ne la sua terra fìa di doppia vesta:

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e la sua terra è questa dolce vita;   

               
e ’l tuo fratello assai vie più digesta,   

               
là dove tratta de le bianche stole,

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questa revelazion ci manifesta.”

               
E prima, appresso al fin d’este parole,   

               

Sperent in te
” di sopr’ a noi s’udì;   

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a che rispuoser tutte le carole.

               
Poscia tra esse un lume si schiarì   

               
sì che, se ’l Cancro avesse un tal cristallo,

102
         
l’inverno avrebbe un mese d’un sol dì.

               
E come surge e va ed entra in ballo   

               
vergine lieta, sol per fare onore

105
         
a la novizia, non per alcun fallo,

               
così vid’ io lo schiarato splendore

               
venire a’ due che si volgieno a nota

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qual conveniesi al loro ardente amore.

               
Misesi lì nel canto e ne la rota;   

               
e la mia donna in lor tenea l’aspetto,

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pur come sposa tacita e immota.

               
“Questi è colui che giacque sopra ’l petto   

               
del nostro pellicano, e questi fue

114
         
di su la croce al grande officio eletto.”

               
La donna mia così; né però piùe

               
mosser la vista sua di stare attenta

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poscia che prima le parole sue.

               
Qual è colui ch’adocchia e s’argomenta   

               
di vedere eclissar lo sole un poco,

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che, per veder, non vedente diventa;

               
tal mi fec’ïo a quell’ ultimo foco

               
mentre che detto fu: “Perché t’abbagli   

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per veder cosa che qui non ha loco?

               
In terra è terra il mio corpo, e saragli   

               
tanto con li altri, che ’l numero nostro

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con l’etterno proposito s’agguagli.

               
Con le due stole nel beato chiostro   

               
son le due luci sole che saliro;

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e questo apporterai nel mondo vostro.”

               
A questa voce l’infiammato giro   

               
si quïetò con esso il dolce mischio   

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che si facea nel suon del trino spiro,

               
sì come, per cessar fatica o rischio,

               
li remi, pria ne l’acqua ripercossi,

135
         
tutti si posano al sonar d’un fischio.

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