Authors: Dante
Questo io a lui; ed elli a me: “S’io posso
→
mostrarti un vero, a quel che tu dimandi
96
terrai lo viso come tien lo dosso.
Lo ben che tutto il regno che tu scandi
→
→
volge e contenta, fa esser virtute
99
sua provedenza in questi corpi grandi.
E non pur le nature provedute
→
sono in la mente ch’è da sé perfetta,
102
ma esse insieme con la lor salute:
per che quantunque quest’ arco saetta
→
disposto cade a proveduto fine,
105
sì come cosa in suo segno diretta.
Se ciò non fosse, il ciel che tu cammine
→
producerebbe sì li suoi effetti,
108
che non sarebbero arti, ma ruine;
e ciò esser non può, se li ’ntelletti
→
che muovon queste stelle non son manchi,
111
e manco il primo, che non li ha perfetti.
Vuo’ tu che questo ver più ti s’imbianchi?”
→
E io “Non già; ché impossibil veggio
114
che la natura, in quel ch’è uopo, stanchi.”
Ond’ elli ancora: “Or dì: sarebbe il peggio
→
per l’omo in terra, se non fosse cive?”
117
“Sì” rispuos’ io; “e qui ragion non cheggio.”
“E puot’ elli esser, se giù non si vive
→
diversamente per diversi offici?
120
Non, se ’l maestro vostro ben vi scrive.”
Sì venne deducendo infino a quici;
→
poscia conchiuse: “Dunque esser diverse
→
123
convien di vostri effetti le radici:
per ch’un nasce Solone e altro Serse,
altro Melchisedèch e altro quello
126
che, volando per l’aere, il figlio perse.
La circular natura, ch’è suggello
→
→
a la cera mortal, fa ben sua arte,
129
ma non distingue l’un da l’altro ostello.
Quinci addivien ch’Esaù si diparte
→
per seme da Iacòb; e vien Quirino
132
da sì vil padre, che si rende a Marte.
Natura generata il suo cammino
→
simil farebbe sempre a’ generanti,
135
se non vincesse il proveder divino.
Or quel che t’era dietro t’è davanti:
→
ma perché sappi che di te mi giova,
Sempre natura, se fortuna trova
→
discorde a sé, com’ ogne altra semente
141
fuor di sua regïon, fa mala prova.
E se ’l mondo là giù ponesse mente
→
al fondamento che natura pone,
144
seguendo lui, avria buona la gente.
Ma voi torcete a la religïone
→
tal che fia nato a cignersi la spada,
e fate re di tal ch’è da sermone;
148
onde la traccia vostra è fuor di strada.”
Da poi che Carlo tuo, bella Clemenza,
→
m’ebbe chiarito, mi narrò li ’nganni
3
che ricever dovea la sua semenza;
ma disse: “Taci e lascia muover li anni”;
sì ch’io non posso dir se non che pianto
6
giusto verrà di retro ai vostri danni.
E già la vita di quel lume santo
→
rivolta s’era al Sol che la rïempie
→
9
come quel ben ch’a ogne cosa è tanto.
Ahi anime ingannate e fatture empie,
→
che da sì fatto ben torcete i cuori,
Ed ecco un altro di quelli splendori
→
ver’ me si fece, e ’l suo voler piacermi
→
15
significava nel chiarir di fori.
Li occhi di Bëatrice, ch’eran fermi
sovra me, come pria, di caro assenso
“Deh, metti al mio voler tosto compenso,
→
beato spirto,” dissi, “e fammi prova
Onde la luce che m’era ancor nova,
del suo profondo, ond’ ella pria cantava,
→
24
seguette come a cui di ben far giova:
“In quella parte de la terra prava
→
→
italica che siede tra Rïalto
27
e le fontane di Brenta e di Piava,
si leva un colle, e non surge molt’ alto,
là onde scese già una facella
→
30
che fece a la contrada un grande assalto.
D’una radice nacqui e io ed ella:
→
→
Cunizza fui chiamata, e qui refulgo
33
perché mi vinse il lume d’esta stella;
ma lietamente a me medesma indulgo
→
la cagion di mia sorte, e non mi noia;
36
che parria forse forte al vostro vulgo.
Di questa luculenta e cara gioia
→
del nostro cielo che più m’è propinqua,
→
39
grande fama rimase; e pria che moia,
questo centesimo anno ancor s’incinqua:
→
vedi se far si dee l’omo eccellente,
→
42
sì ch’altra vita la prima relinqua.
E ciò non pensa la turba presente
→
che Tagliamento e Adice richiude,
45
né per esser battuta ancor si pente;
ma tosto fia che Padova al palude
→
cangerà l’acqua che Vincenza bagna,
48
per essere al dover le genti crude;
e dove Sile e Cagnan s’accompagna,
→
tal signoreggia e va con la testa alta,
51
che già per lui carpir si fa la ragna.
Piangerà Feltro ancora la difalta
→
de l’empio suo pastor, che sarà sconcia
Troppo sarebbe larga la bigoncia
che ricevesse il sangue ferrarese,
57
e stanco chi ’l pesasse a oncia a oncia,
che donerà questo prete cortese
per mostrarsi di parte; e cotai doni
60
conformi fieno al viver del paese.
Sù sono specchi, voi dicete Troni,
→
onde refulge a noi Dio giudicante;
Qui si tacette; e fecemi sembiante
→
che fosse ad altro volta, per la rota
66
in che si mise com’ era davante.
L’altra letizia, che m’era già nota
→
per cara cosa, mi si fece in vista
Per letiziar là sù fulgor s’acquista,
→
sì come riso qui; ma giù s’abbuia
72
l’ombra di fuor, come la mente è trista.
“Dio vede tutto, e tuo veder s’inluia,”
→
diss’ io, “beato spirto, sì che nulla
75
voglia di sé a te puot’ esser fuia.
Dunque la voce tua, che ’l ciel trastulla
sempre col canto di quei fuochi pii
→
78
che di sei ali facen la coculla,
perché non satisface a’ miei disii?
Già non attendere’ io tua dimanda,
81
s’io m’intuassi, come tu t’inmii.”
“La maggior valle in che l’acqua si spanda,”
→
incominciaro allor le sue parole,
84
“fuor di quel mar che la terra inghirlanda,
tra ’ discordanti liti contra ’l sole
→
tanto sen va, che fa meridïano
87
là dove l’orizzonte pria far suole.
Di quella valle fu’ io litorano
tra Ebro e Macra, che per cammin corto
90
parte lo Genovese dal Toscano.