Paradiso (52 page)

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Authors: Dante

BOOK: Paradiso
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o che Dio solo per sua cortesia

               
dimesso avesse, o che l’uom per sé isso

93
           
avesse sodisfatto a sua follia.

               
Ficca mo l’occhio per entro l’abisso

               
de l’etterno consiglio, quanto puoi

96
           
al mio parlar distrettamente fisso.

               
Non potea l’uomo ne’ termini suoi   

               
mai sodisfar, per non potere ir giuso

99
           
con umiltate obedïendo poi,

               
quanto disobediendo intese ir suso;

               
e questa è la cagion per che l’uom fue

102
         
da poter sodisfar per sé dischiuso.

               
Dunque a Dio convenia con le vie sue   

               
riparar l’omo a sua intera vita,

105
         
dico con l’una, o ver con amendue.

               
Ma perché l’ovra tanto è più gradita

               
da l’operante, quanto più appresenta

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de la bontà del core ond’ ell’ è uscita,

               
la divina bontà che ’l mondo imprenta,

               
di proceder per tutte le sue vie,

111
         
a rilevarvi suso, fu contenta.

               
Né tra l’ultima notte e ’l primo die   

               
sì alto o sì magnifico processo,

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o per l’una o per l’altra, fu o fie:

               
ché più largo fu Dio a dar sé stesso

               
per far l’uom sufficiente a rilevarsi,

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che s’elli avesse sol da sé dimesso;

               
e tutti li altri modi erano scarsi

               
a la giustizia, se ’l Figliuol di Dio

120
         
non fosse umilïato ad incarnarsi.

               
Or per empierti bene ogne disio,

               
ritorno a dichiararti in alcun loco,

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perché tu veggi lì così com’ io.

               
Tu dici: ‘Io veggio l’acqua, io veggio il foco,   

   

               
l’aere e la terra e tutte lor misture

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venire a corruzione, e durar poco;

               
e queste cose pur furon creature;

               
per che, se ciò ch’è detto è stato vero,

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esser dovrien da corruzion sicure.’

               
Li angeli, frate, e ’l paese sincero

               
nel qual tu se’, dir si posson creati,

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sì come sono, in loro essere intero;

               
ma li alimenti che tu hai nomati

               
e quelle cose che di lor si fanno

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da creata virtù sono informati.

               
Creata fu la materia ch’elli hanno;

               
creata fu la virtù informante

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in queste stelle che ’ntorno a lor vanno.

               
L’anima d’ogne bruto e de le piante   

               
di complession potenzïata tira

141
         
lo raggio e ’l moto de le luci sante;

               
ma vostra vita sanza mezzo spira

               
la somma beninanza, e la innamora

144
         
di sé sì che poi sempre la disira.

               
E quinci puoi argomentare ancora   

               
vostra resurrezion, se tu ripensi

               
come l’umana carne fessi allora

148
         
che li primi parenti intrambo fensi.”

PARADISO VIII

               
Solea creder lo mondo in suo periclo   

               
che la bella Ciprigna il folle amore   

3
             
raggiasse, volta nel terzo epiciclo;   

               
per che non pur a lei faceano onore   

               
di sacrificio e di votivo grido

6
             
le genti antiche ne l’antico errore;

               
ma Dïone onoravano e Cupido,   

               
quella per madre sua, questo per figlio,

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e dicean ch’el sedette in grembo a Dido;   

               
e da costei ond’ io principio piglio   

               
pigliavano il vocabol de la stella

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che ’l sol vagheggia or da coppa or da ciglio.   

               
Io non m’accorsi del salire in ella;   

               
ma d’esservi entro mi fé assai fede

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la donna mia ch’i’ vidi far più bella.

               
E come in fiamma favilla si vede,   

               
e come in voce voce si discerne,   

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quand’ una è ferma e altra va e riede,

               
vid’ io in essa luce altre lucerne   

               
muoversi in giro più e men correnti,   

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al modo, credo, di lor viste interne.

               
Di fredda nube non disceser venti,

               
o visibili o no, tanto festini,   

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che non paressero impediti e lenti

               
a chi avesse quei lumi divini

               
veduti a noi venir, lasciando il giro   

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pria cominciato in li alti Serafini;

               
e dentro a quei che più innanzi appariro

               
sonava “
Osanna
” sì, che unque poi   

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di rïudir non fui sanza disiro.

               
Indi si fece l’un più presso a noi   

               
e solo incominciò: “Tutti sem presti

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al tuo piacer, perché di noi ti gioi.

               
Noi ci volgiam coi principi celesti   

   

               
d’un giro e d’un girare e d’una sete,

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ai quali tu del mondo già dicesti:

               
‘Voi che ’ntendendo il terzo ciel movete’
;

               
e sem sì pien d’amor, che, per piacerti,   

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non fia men dolce un poco di quïete.”   

               
Poscia che li occhi miei si fuoro offerti   

               
a la mia donna reverenti, ed essa

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fatti li avea di sé contenti e certi,

               
rivolsersi a la luce che promessa

               
tanto s’avea, e “Deh, chi siete?” fue   

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la voce mia di grande affetto impressa.   

               
E quanta e quale vid’ io lei far piùe   

               
per allegrezza nova che s’accrebbe,

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quando parlai, a l’allegrezze sue!

               
Così fatta, mi disse: “Il mondo m’ebbe   

               
giù poco tempo; e se più fosse stato,

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molto sarà di mal, che non sarebbe.

               
La mia letizia mi ti tien celato   

               
che mi raggia dintorno e mi nasconde

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quasi animal di sua seta fasciato.

               
Assai m’amasti, e avesti ben onde;   

               
che s’io fossi giù stato, io ti mostrava

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di mio amor più oltre che le fronde.

               
Quella sinistra riva che si lava   

               
di Rodano poi ch’è misto con Sorga,

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per suo segnore a tempo m’aspettava,

               
e quel corno d’Ausonia che s’imborga

               
di Bari e di Gaeta e di Catona,

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da ove Tronto e Verde in mare sgorga.

               
Fulgeami già in fronte la corona   

               
di quella terra che ’l Danubio riga

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poi che le ripe tedesche abbandona.

               
E la bella Trinacria, che caliga   

               
tra Pachino e Peloro, sopra ’l golfo   

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che riceve da Euro maggior briga,

               
non per Tifeo ma per nascente solfo,   

               
attesi avrebbe li suoi regi ancora,

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nati per me di Carlo e di Ridolfo,

               
se mala segnoria, che sempre accora

               
li popoli suggetti, non avesse

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mosso Palermo a gridar: ‘Mora, mora!’   

               
E se mio frate questo antivedesse,   

               
l’avara povertà di Catalogna

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già fuggeria, perché non li offendesse;

               
ché veramente proveder bisogna   

               
per lui, o per altrui, sì ch’a sua barca

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carcata più d’incarco non si pogna.

               
La sua natura, che di larga parca   

               
discese, avria mestier di tal milizia   

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che non curasse di mettere in arca.”

               
“Però ch’i’ credo che l’alta letizia   

               
che ’l tuo parlar m’infonde, segnor mio,

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là ’ve ogne ben si termina e s’inizia,

               
per te si veggia come la vegg’ io,

               
grata m’è più; e anco quest’ ho caro

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perché ’l discerni rimirando in Dio.

               
Fatto m’hai lieto, e così mi fa chiaro,   

               
poi che, parlando, a dubitar m’hai mosso

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com’ esser può, di dolce seme, amaro.”

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