Authors: Dante
Ma ditemi: che son li segni bui
di questo corpo, che là giuso in terra
Ella sorrise alquanto, e poi “S’elli erra
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l’oppinïon,” mi disse, “d’i mortali
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dove chiave di senso non diserra,
certo non ti dovrien punger li strali
d’ammirazione omai, poi dietro ai sensi
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vedi che la ragione ha corte l’ali.
Ma dimmi quel che tu da te ne pensi.”
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E io: “Ciò che n’appar qua sù diverso
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credo che fanno i corpi rari e densi.”
Ed ella: “Certo assai vedrai sommerso
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nel falso il creder tuo, se bene ascolti
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l’argomentar ch’io li farò avverso.
La spera ottava vi dimostra molti
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lumi, li quali e nel quale e nel quanto
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notar si posson di diversi volti.
Se raro e denso ciò facesser tanto,
una sola virtù sarebbe in tutti,
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più e men distributa e altrettanto.
Virtù diverse esser convegnon frutti
di principi formali, e quei, for ch’uno,
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seguiterieno a tua ragion distrutti.
Ancor, se raro fosse di quel bruno
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cagion che tu dimandi, o d’oltre in parte
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fora di sua materia sì digiuno
esto pianeto, o, sì come comparte
lo grasso e ’l magro un corpo, così questo
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nel suo volume cangerebbe carte.
Se ’l primo fosse, fora manifesto
ne l’eclissi del sol, per trasparere
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lo lume come in altro raro ingesto.
Questo non è: però è da vedere
de l’altro; e s’elli avvien ch’io l’altro cassi,
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falsificato fia lo tuo parere.
S’elli è che questo raro non trapassi,
esser conviene un termine da onde
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lo suo contrario più passar non lassi;
e indi l’altrui raggio si rifonde
così come color torna per vetro
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lo qual di retro a sé piombo nasconde.
Or dirai tu ch’el si dimostra tetro
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ivi lo raggio più che in altre parti,
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per esser lì refratto più a retro.
Da questa instanza può deliberarti
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esperïenza, se già mai la provi,
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ch’esser suol fonte ai rivi di vostr’ arti.
Tre specchi prenderai; e i due rimovi
da te d’un modo, e l’altro, più rimosso,
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tr’ambo li primi li occhi tuoi ritrovi.
Rivolto ad essi, fa che dopo il dosso
ti stea un lume che i tre specchi accenda
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e torni a te da tutti ripercosso.
Ben che nel quanto tanto non si stenda
la vista più lontana, lì vedrai
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come convien ch’igualmente risplenda.
Or, come ai colpi de li caldi rai
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de la neve riman nudo il suggetto
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e dal colore e dal freddo primai,
così rimaso te ne l’intelletto
voglio informar di luce sì vivace,
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che ti tremolerà nel suo aspetto.
Dentro dal ciel de la divina pace
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si gira un corpo ne la cui virtute
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l’esser di tutto suo contento giace.
Lo ciel seguente, c’ha tante vedute,
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quell’ esser parte per diverse essenze,
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da lui distratte e da lui contenute.
Li altri giron per varie differenze
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le distinzion che dentro da sé hanno
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dispongono a lor fini e lor semenze.
Questi organi del mondo così vanno,
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come tu vedi omai, di grado in grado,
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che di sù prendono e di sotto fanno.
Riguarda bene omai sì com’ io vado
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per questo loco al vero che disiri,
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sì che poi sappi sol tener lo guado.
Lo moto e la virtù d’i santi giri,
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come dal fabbro l’arte del martello,
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da’ beati motor convien che spiri;
e ’l ciel cui tanti lumi fanno bello,
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de la mente profonda che lui volve
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prende l’image e fassene suggello.
E come l’alma dentro a vostra polve
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per differenti membra e conformate
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a diverse potenze si risolve,
Virtù diversa fa diversa lega
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col prezïoso corpo ch’ella avviva,
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nel qual, sì come vita in voi, si lega.
Per la natura lieta onde deriva,
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la virtù mista per lo corpo luce
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come letizia per pupilla viva.
Da essa vien ciò che da luce a luce
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par differente, non da denso e raro;
essa è formal principio che produce,
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conforme a sua bontà, lo turbo e ’l chiaro.”
Quel sol che pria d’amor mi scaldò ’l petto,
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di bella verità m’avea scoverto,
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provando e riprovando, il dolce aspetto;
e io, per confessar corretto e certo
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me stesso, tanto quanto si convenne
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leva’ il capo a proferer più erto;
ma visïone apparve che ritenne
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a sé me tanto stretto, per vedersi,
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che di mia confession non mi sovvenne.
Quali per vetri trasparenti e tersi,
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o ver per acque nitide e tranquille,
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non sì profonde che i fondi sien persi,
tornan d’i nostri visi le postille
debili sì, che perla in bianca fronte
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non vien men forte a le nostre pupille;
tali vid’ io più facce a parlar pronte;
per ch’io dentro a l’error contrario corsi
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a quel ch’accese amor tra l’omo e ’l fonte.
Sùbito sì com’ io di lor m’accorsi,
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quelle stimando specchiati sembianti,
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per veder di cui fosser, li occhi torsi;
e nulla vidi, e ritorsili avanti
dritti nel lume de la dolce guida,
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che, sorridendo, ardea ne li occhi santi.
“Non ti maravigliar perch’ io sorrida,”
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mi disse, “appresso il tuo püeril coto,
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poi sopra ’l vero ancor lo piè non fida,
ma te rivolve, come suole, a vòto:
vere sustanze son ciò che tu vedi,
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qui rilegate per manco di voto.
Però parla con esse e odi e credi;
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ché la verace luce che le appaga
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da sé non lascia lor torcer li piedi.”
E io a l’ombra che parea più vaga
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di ragionar, drizza’mi, e cominciai,
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quasi com’ uom cui troppa voglia smaga:
“O ben creato spirito, che a’ rai
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di vita etterna la dolcezza senti
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che, non gustata, non s’intende mai,
grazïoso mi fia se mi contenti
del nome tuo e de la vostra sorte.”
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Ond’ ella, pronta e con occhi ridenti:
“La nostra carità non serra porte
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a giusta voglia, se non come quella
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che vuol simile a sé tutta sua corte.