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Authors: Sarah Langan

Virus (45 page)

BOOK: Virus
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Danny inserì la prima, e si diresse verso Bedford, da dove avrebbe imboccato la I-95 in un punto non sorvegliato. Aveva i finestrini chiusi, e non poté sentire la voce rauca di Meg Wintrob che gridava: «Fermati!».

 

43.

I morsi della fame

 

«Fermati!» gridava Meg dalla finestra della camera da letto, ma la Mercedes rossa e ammaccata di Danny Walker girò l'angolo scoppiettando, e poi si avviò a salire la collina. Lei si sporse dal davanzale, e sebbene sapesse che non poteva sentirla, continuò a gridare: «Torna indietro! Ti prego! Torna indietro!».

 

Era digiuna da un pezzo. Si sentiva debole, e aveva così fame che ormai da tempo lo stomaco aveva smesso anche di brontolare. Le mani andavano un po' meglio, ma sotto la pelle erano ancora indolenzite, e intorno ai polsi non sentiva niente. Stava in equilibrio su una gamba appoggiata alla finestra, perché l'altra gamba non la reggeva più.

Cercò di raggiungere il corridoio, ma la gamba le faceva troppo male, così si mise in ginocchio. Mentre procedeva verso la stanza di Maddie, partorì una mezza idea, e decise che doveva bastare. Avrebbe slegato Maddie prima del ritorno di Fenstad, e l'avrebbe nascosta nella Escalade. Poi avrebbe colpito Fenstad alle spalle, lo avrebbe legato, e se lo sarebbe portato dietro nella fuga dalla città.

Cercò di non usare la caviglia, spostando tutto il peso sul bacino, e la borsite ricominciò a farsi sentire. Se lei e suo marito fossero sopravvissuti a tutto questo, in futuro ne avrebbero riso? Ti ricordi di quella volta che sei andata carponi a soccorrere tua figlia? Ti ricordi di quella volta che sei quasi soffocata per un calzino puzzolente? Ti ricordi di quando hai scoperto che tutto ciò che credevi di sapere del tuo matrimonio non era che una menzogna? Che ridere.

Una gamba dopo l'altra. Strisciava. Ancora qualche metro. Presto avrebbe raggiunto Maddie. Maddie sarebbe stata le sue gambe, e insieme avrebbero costruito una stecca per bloccare la caviglia. Maddie l'avrebbe aiutata a preparare la cena, e quella morsa allo stomaco sarebbe sparita.

Alzò un braccio e girò la maniglia. L'odore dell'infezione la sopraffece. Le sfuggì un grido di sollievo quando vide Maddie che dormiva come un angelo nel suo letto, e il corpo drappeggiato da un lenzuolo intriso di sangue sul pavimento. La notte scorsa lì si era consumata una battaglia. Fenstad, che Dio lo benedica, aveva combattuto e ne era uscito vincitore.

La luce brillava sul volto pallido di Maddie. Russava forte, e il suo respiro era pieno di catarro. A lungo Meg non aprì bocca. Non toccò la guancia di Maddie. Non voleva saperlo con certezza. Rimase a guardare la chioma viola del suo angelo addormentato. Immaginò di mettersi a letto con lei, e abbracciarla. Di curarla con la sola forza della sua volontà e del suo amore.

«Maddie?» sussurrò.

Maddie aprì i suoi begli occhi verdi. Era imbavagliata da una bandana rossa. Meg si issò sul letto. Maddie non sollevò la testa e non spostò le gambe per farle spazio. La fissava e basta, e fu così che Meg capì. Ma sperava ancora.

Slegò il bavaglio. Era fissato con un doppio nodo, e le copriva il naso oltre alla bocca. Maledisse Fenstad. Certo, un collasso nervoso poteva concederglielo, ma soffocare accidentalmente sua moglie e sua figlia era proprio da idioti. Le sfilò dalla bocca un paio di mutande bianche e fradicie. Almeno erano pulite. Poi attese. Aveva troppa paura per parlare.

Maddie aveva la spalla coperta da una grossa striscia di garza. La pelle intorno alla fasciatura sembrava ustionata, come se Fenstad avesse cercato di cauterizzarla. Dapprima provò rabbia, ma poi comprese: aveva cercato di bruciare l'infezione. Maddie era infetta.

Gli occhi le si colmarono di lacrime. Appoggiò il palmo sulla fronte di Maddie. Desiderava tanto si trattasse di una febbre. Una febbre che poteva guarire. «Chi è stato?» domandò.

«Non lo indovini?» sorrise Maddie.

«Enrique» gemette Meg.

«Verrà a prendermi, mamma. Verranno tutti.»

Meg toccò i piedi di Maddie, dieci piccole dita dalla forma perfetta, e Maddie sogghignò.

«Dov'è adesso?» domandò Meg. Stava piangendo, e Maddie sembrava goderne.

«Ho tanta fame, mamma. Non puoi immaginare quanta.»

«Vivono nel bosco?» domandò lei. Aveva già deciso che prima del tramonto lei e Fenstad sarebbe andati ad annientarli. Avrebbero incendiato tutto lo Stato se necessario.

«Alcuni» disse Maddie. «Ma dormono anche dove vivevano prima. Stanno comodi nei loro vecchi letti.» Poi inclinò la testa. Un lampo di lucidità le passò sul volto. Sotto sotto, era sempre stata una ragazza con la testa sulle spalle. «Il papà!» strillò. «IL PAPÀ È IN GIRO!»

«Non è qui» disse Meg.

Maddie fece un ghigno, ma era un ghigno spaventato. «Lo so quello che hai fatto nella stanza 69, troia.»

Meg cercò di alzarsi, ma la caviglia le faceva male, e non voleva che Maddie la vedesse strisciare a quattro zampe. «Smettila» disse.

«Hai sbagliato tutto fin dalla nascita!» gridò Maddie. Meg cercò di allontanarsi dal letto. Cadde con un tonfo, e si mise a camminare carponi, mentre alle sue spalle Maddie sibilava: «Hai sposato uno psicotico, e hai fatto finta di non saperlo perché volevi tenerti la tua bella casa».

Meg continuò a strisciare. Ora piangeva a dirotto. «Sssh, sssh» ripeteva, muovendo un ginocchio dopo l'altro, senza sapere se lo dicesse a sua figlia o ai suoi nervi che minacciavano di cedere da un momento all'altro. «Taci» disse. «Ti prego, taci.»

In fondo alle scale, la porta sbatté. Fenstad era tornato. Cercò di trascinarsi più in fretta, ma non fece in tempo. Fenstad era in piedi sulla porta della camera di Maddie.

Meg vide il ringhio che gli distorceva i lineamenti, e si arrese. Non ce la faceva più. La gamba le faceva troppo male. Era rimasta sola. Se solo David fosse stato lì ad aiutarla. Continuò a piangere.

Fenstad si piegò verso di lei, e questa volta Meg non si dette la pena di resistere. Lui la prese in braccio. Aveva la faccia immobile come cera. Lei singhiozzava. Non cercò di spiegare:
ci hai legate, e io stavo solo cercando di fuggire. Ora lo capisci perché dovevo farlo, vero?

La riportò in camera da letto. Lei era inconsolabile. Quando la mise sdraiata, le si storse la caviglia. Guaì di dolore, e poi riprese a piangere. «Ti prego» diceva. «Ti prego, adesso basta.»

Lui uscì dalla stanza mentre lei era scossa dai singulti. Non riusciva a riprendere fiato. Quando tornò brandiva il coltello Ginsu che lei aveva ordinato a una televendita, per scherzo.
Ci potreste tagliare i barattoli di latta!

«No!» gridò quando lui glielo appoggiò sulla pelle e cominciò a tagliare. Il gesso si aprì in due. La gamba era gonfia e arrossata. La caviglia non c'era più. Al suo posto restava solo una tumefazione violacea. Lui le tenne la gamba con una mano. Un unico gesto secco. L'osso si ruppe. Lei vide accendersi puntini luminosi in tutta la stanza. Poi svenne.

Quando riprese i sensi, la caviglia era fissata a una stecca ricavata dalla gamba di un mobile; era riuscito chissà come a richiuderla nel gesso, e in quel momento le stava bagnando la faccia con acqua fredda. Lei riprese a piangere. Il sentimento della perdita ne aveva preceduto il ricordo. Poi le tornò la memoria. «Maddie è malata» disse.

Lui non rispose. Avvicinò il volto al comodino e sniffò una polvere bianca. Poi la guardò. «OxyContin, macinata. Scende meglio» disse. «Maddie sostiene che non sono suo padre. Che è figlia di Graham Nero.»

Meg deglutì. «Fenstad. È un'assurdità.»

Lui annuì, ma si vedeva che non era convinto. A quel punto lei non era più certa che le importasse.

«Sono nel bosco, credo. Enrique e tutti gli altri. Me lo ha detto Maddie. Potremmo appiccare un incendio. Bruciarli tutti.»

Lui scosse la testa. «Dobbiamo restare in casa e resistere. La terremo legata finché non si trova una cura. E starai legata anche tu.»

«Io non sono contagiata.»

Lui si strinse nelle spalle. Aveva il naso coperto di polvere bianca. In tre giorni era passato da marito perfetto, per quanto un po' freddo, a tossico fuori di senno. Comunque fosse, il suo stomaco brontolava, esigeva soddisfazione. «Mi porteresti di sotto? Sono quasi due giorni che non mangio.» Lui la guardò con sospetto. «Non avrei la forza di farti niente, Fen.»

La aiutò ad alzarsi e a percorrere il corridoio. I suoi gesti erano rigidi e privi di emozione, ma lei pensò che forse era ancora possibile fare breccia. Dopotutto le aveva aggiustato la caviglia.

Scese le scale, lei vide cosa aveva fatto alla casa. Era in pezzi. I mobili fracassati. I tavoli e le sedie senza gambe. Le finestre del pianterreno erano tutte sbarrate da assi di legno inchiodate al muro, così che era buio fitto nonostante la bella giornata di sole.

«Ti sei dato da fare» disse.

Lui non rispose, e in mancanza di sedie la mise a sedere sul bancone della cucina. «Ci sono dei peperoni in un Tupperware, potremmo scaldare quelli» disse. Lui ci pensò su per un paio di secondi, e poi obbediente infilò gli avanzi nel microonde.

«Quindi cosa pensi? Che sto cercando di ucciderti? È questo che credi? Che quel coglione di Graham Nero fosse il mio complice?»

Lui non aprì bocca.

«Non voglio ucciderti. Tanto per cominciare, senza di te non potrei andarmene da qui. E poi, almeno prima che tu mi spaccassi la caviglia, ero abbastanza convinta di amarti.»

«Qualcuno è stato in camera nostra mentre non c'ero. Era Nero?» Il microonde suonò. Lui aveva lo sguardo vitreo, e rimase a fissarlo come se non ricordasse cosa stava facendo.

«Prendi due forchette. Facciamo a metà.»

Lui prese le forchette, e appoggiò i peperoni sul bancone. Si misero a mangiare con avidità. C'erano quattro peperoni, e non si fermarono finché non ebbero spazzato via i primi due. Il cibo le riscaldò lo stomaco. Se lo sentiva scorrere nel sangue come una droga. Adesso era tutto più facile. Tutto era un po' meno impossibile.

«Grazie» disse.

Lui annuì. «Mancava qualcosa. Sale.»

Lei lo guardò per un paio di secondi. Poi scoppiò in una risata. Non era sicura da dove fosse venuta fuori, e certo non era una risata felice. «Mi prendi in giro» disse.

Lui sorrise. Poi le appoggiò le mani sui fianchi. Una lacrima gli attraversò la guancia. Lei la asciugò, sempre ridendo, e scappò da ridere anche a lui. «Erano davvero un po' insipidi» ripeté. Questo la fece ridere ancora di più. Lui le prese le mani per baciarle, e vide che aveva le dita ancora gonfie per quanto era rimasta legata. Le rigirò tra le sue con un sospiro. Lei non rideva più.

«Non sono in me» disse.

Lei annuì. «Già.»

La sua voce era ruvida. «Ti amo tanto, Meg.» Non glielo diceva da più di dieci anni, e lei si sorprese che lo dicesse adesso.

«Be', quando non mi picchi, ti amo anch'io.»

«Non posso andare nel bosco. Non posso ucciderne un altro. Forse hai ragione tu, e potrebbe aiutare Maddie, ma io non ce la faccio. Le cose che ho visto all'ospedale... nessun uomo dovrebbe vedere cose del genere.»

Lei annuì. Decise di non dirgli di Albert. Non pensava potesse sopportarlo. «Ma verranno a cercarci, noi e Maddie. In città non sarà rimasto altro da mangiare.»

La sua voce si fece più brusca. «Non ce la faccio, Meg.»

«Dormiamoci sopra. Se superiamo la notte, domattina ne riparliamo.»

Gli occhi gli si riempirono di lacrime. «Ho paura per te. Dovresti andare via. Resterò io con Maddie. Quando potrai ci manderai degli aiuti.»

Lei scosse la testa. «Dimentichi una cosa. Senza di te non posso camminare. E comunque dobbiamo restare uniti.»

Lui si guardò i piedi. «Sì» disse. «Resteremo uniti.» Le tenne le mani nella stanza vuota, devastata. Era pomeriggio inoltrato. Potevano approfittare della luce ancora per un paio d'ore, ma le assi alle finestre oscuravano il sole. «Presto saranno qui» disse lui.

«Ci troveranno pronti ad aspettarli» rispose lei, mentre al piano di sopra Maddie rideva.

 

44.

La separazione

 

Quando il sole fu scomparso all'orizzonte, il loro numero era raddoppiato. Nel giro di pochi giorni avrebbero controllato entrambe le coste, ma ormai l'infezione si era fatta subdola, e sotterranea. Nelle città come Boston, Seattle e Eugene, lei aveva ordinato che si alimentassero in segreto, e che nascondessero le ossa fino a che non fosse troppo tardi perché gli umani potessero fare qualcosa.

Lois Larkin si alzò. Gli altri le si strinsero intorno. Ora erano una cosa sola. Un'unica mente, e ora lei sapeva tutto. Cercava quello che li aveva traditi. Con gli occhi della loro mente lo vide rintanato in casa, a stordirsi di lievito fermentato.

Si precipitarono là correndo a quattro zampe, così rapidi che il vento le frustava la pelle. Spalancò la porta, mentre gli altri le si assiepavano alle spalle. «Ti prego» implorò lui. Parole che lei aveva sentito milioni di volte, in migliaia di lingue diverse.

Lui pensava che l'avrebbero ucciso, ma la cosa che un tempo si chiamava Lois Larkin aveva di meglio in programma. Lo avrebbe fatto soffrire di più, anche se lui non lo sapeva. Non c'è punizione peggiore che essere separati da quello che ami. Lo liberò.

Il virus che lo abitava avvizzì. Gli colò dagli occhi come lacrime. Mise fine alla battaglia che lo lacerava. All'improvviso perse tutti i denti, uno dopo l'altro. La cicatrice che aveva sul ventre si riaprì, e cominciò a sanguinare. Lui pianse e poi fu scosso da un tremito; era troppo debole per parlare. Lo lasciarono là, a tracannare il suo budino di pane, a morire da solo una morta lenta.

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