Read Moll Flanders (Collins Classics) Online

Authors: Daniel Defoe

Tags: #Fiction, #Classics

Moll Flanders (Collins Classics) (4 page)

BOOK: Moll Flanders (Collins Classics)
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Dopo che mi ebbe affidato le commissioni, raccontò alle sorelle la storiella di una visita che si recava a fare in una famiglia da tutti loro ben conosciuta, e disse che ci sarebbero stati questi e quelli, e che si sarebbero molto divertiti, e compitamente invitò le sorelle ad accompagnarlo; ma loro, altrettanto compitamente, si scusarono, perché avevano appreso che nel pomeriggio sarebbe venuta a far loro visita una comitiva di amici; cosa questa che, per l’appunto, era stato lui appositamente a concertare.

Aveva appena finito di parlare con loro e di affidare a me il mio incarico, che entrò il suo servo ad annunciare che s’era fermata alla porta la carrozza di Sir W. H.; lui corre giù, ma torna di sopra subito. “Ahimè,” esclama. E dice: “Ecco sciupato tutto il mio spasso. Sir W. H. mi ha mandato la carrozza e vuol parlarmi di una faccenda molto importante.” Pare che quel Sir W. fosse un signore che abitava a circa tre miglia fuori città, al quale lui appositamente aveva parlato il giorno prima perché gli prestasse la carrozza per una speciale occasione, e aveva stabilito che lo venissero a chiamare, come accadde, verso le tre.

Subito si fa portare la parrucca più bella, la spada, il cappello, e ordinando al servo di andare in quell’altro luogo a porgere le sue scuse (vale a dire, trovò lui una scusa per mandare via il servo), si accinge a salire in carrozza. Mentre se ne andava, indugiò qualche istante, e tutto serio mi parla dei suoi interessi, e trova la maniera di dirmi in tono molto sommesso: “Vieni fuori, più presto che puoi.” Io non dissi nulla, ma feci la riverenza, come tante volte facevo in risposta a quello che lui mi diceva in pubblico. Un quarto d’ora dopo o giù di lì, ero fuori anch’io; non avevo un abito diverso da prima, ma mi ero messa in tasca un cappuccio, una maschera, un ventaglio e un paio di guanti; in tal modo nessuno in casa ebbe il minimo sospetto. Lui mi aspettò in carrozza in un vicolo sul retro, dove sapeva che io sarei dovuta passare, e aveva dato al cocchiere la destinazione, che fu un certo posto chiamato Mile End, dove abitava una persona di sua fiducia, dove noi entrammo dentro, e dove c’era ogni comodità possibile al mondo per fare tutte le porcherie che volemmo.

Quando fummo insieme, lui cominciò a parlarmi in modo solenne, e disse che non mi portava colà per ingannarmi; che, cioè, la sua passione per me non gli permetteva di abusare di me; che lui aveva deciso di sposarmi non appena sarebbe entrato in possesso del suo patrimonio; che, nel frattempo, se acconsentivo alla sua richiesta, mi avrebbe mantenuto molto onorevolmente; e mi fece mille dichiarazioni di sincerità e di affetto per me, e disse che non mi avrebbe abbandonato mai, e, insomma, usò, direi, mille preamboli in più di quel che sarebbe stato necessario.

Tuttavia, poiché lui mi sollecitò a parlare, io gli dissi che non avevo ragione di mettere in dubbio la sincerità del suo amore per me dopo tante dichiarazioni, ma… e qui mi fermai, come se lasciassi a lui da indovinare il resto.

“Ma che cosa, mia cara,” dice lui. “Immagino quel che vuoi dire: che cosa succederebbe se tu avessi un figlio. Non è così? Ebbene,” dice, “io avrò cura di te e penserò anche al figlio; e affinché tu possa capire che non dico per dire,” dice, “eccoti una prova,” e con ciò tirò fuori una borsa di seta, con un centinaio di ghinee, e me la dette. “E te ne darò un’altra uguale,” dice, “ogni anno, finché ti sposerò.”

Io persi e ritrovai il colore del volto, alla vista della borsa, e, insieme, per l’ardore della dichiarazione, cosicché non fui capace di dire una parola, e lui se ne accorse facilmente: perciò, riponendo la borsa in seno, non gli opposi più resistenza, ma gli lasciai fare esattamente quel che gli piacque; e così completai in un tratto la mia rovina, perché da quel giorno, divenuta dimentica della mia virtù e del mio pudore, non ebbi più nulla che valesse a raccomandarmi alla grazia del Signore o alla solidarietà umana.

Ma le cose non finirono lì. Io tornai in città, feci le commissioni che lui pubblicamente mi aveva affidato, e fui di nuovo a casa prima che qualcuno potesse pensare che ero stata via troppo tempo. Quanto al mio signore, come mi aveva detto che avrebbe fatto, restò fuori fino a tarda notte, e nessuno ebbe in famiglia il minimo sospetto, né su di lui né su di me.

Avemmo, in seguito, frequenti occasioni di replicare il fattaccio, grazie soprattutto alle sue macchinazioni, specialmente in casa, quando la madre e le sorelle andavano fuori in visita, cosa che lui curava con attenzione tale da non mancarla mai; sapendo lui sempre in anticipo quando loro uscivano, e quando non poteva perciò mancare di pescarmi sola, in tutta sicurezza, noi potemmo occupare con i nostri dissoluti piaceri la metà circa di un anno; e, tuttavia, cosa che mi dette la maggior contentezza, io non rimasi incinta.

Ma prima che trascorresse quel mezzo anno, il fratello minore, che ho già nominato al principio del racconto, si mette a darsi da fare con me; trovandomi sola in giardino una sera, comincia a farmi una storia dello stesso genere, mi fa oneste dichiarazioni, belle e buone, d’amore, e, insomma, mi chiede schiettamente e rispettosamente di sposarlo, e ciò prima d’avermi fatto proposte d’altro genere.

Io ne fui sconvolta, ridotta ad estremi mai visti, almeno mai da me. Rifiutai la sua proposta con ostinazione, e cominciai ad armarmi di argomenti vari. Gli misi di fronte la disparità dell’unione; il trattamento che avrei dovuto affrontare nella sua famiglia; l’ingratitudine che sarebbe stata nei confronti dei suoi bravi genitori che mi avevano accolto in casa con idee così generose quando io ero in così umile condizione; e insomma tutto quel che riuscii a pensare per distoglierlo dal suo proposito glielo dissi, meno che narrargli la verità, la quale sola avrebbe di certo posto fine alla cosa, ma io non pensai nemmeno di farne parola.

Ma si verificò allora un nuovo fatto, che io proprio non mi aspettavo, e che mi mise nei guai; infatti, quel giovane gentiluomo, leale e onesto com’era, non voleva da me altro che non fosse tale; e, fondandosi sulla propria innocenza, non si preoccupava affatto di tener segreto in casa, come faceva invece il fratello, il debole che aveva per la signorina Betty. E, pur senza dire agli altri che me ne aveva parlato, tuttavia disse abbastanza da far sì che le sorelle si accorgessero che era innamorato di me, e anche la madre lo capì, e di questo, anche se non ne fecero mostra con me, parlarono a lui, e presto mi accorsi che il loro contegno nei miei confronti era mutato, come mai era prima accaduto.

Vidi la nube, ma non previdi la tempesta. Era facile, dico, notare che il loro contegno nei miei confronti era mutato, e che le cose andavano ogni giorno di male in peggio; finché ebbi da uno della servitù l’informazione che, di lì a poco, mi sarebbe stato chiesto di far fagotto.

Non fui spaventata dalla notizia, perché avevo piena assicurazione che sarei stata altrimenti mantenuta; e soprattutto considerando che avevo ogni giorno buoni motivi per attendermi di rimanere incinta, e allora il fagotto sarei stata costretta a farlo senza poter accampare pretesa alcuna.

Qualche tempo dopo, il signorino più giovane colse l’occasione per dirmi che la simpatia che lui provava per me era trapelata in famiglia. Lui non ne faceva colpa a me, disse, perché sapeva benissimo com’era saltata fuori. Disse che la causa era stata il suo modo schietto di parlare, poiché lui non aveva tenuto segrete, come avrebbe potuto, le sue attenzioni per me, e la ragione era che lui era pronto, se io acconsentivo a prenderlo, a dire con la massima chiarezza a tutti loro che lui mi amava e che voleva sposarmi; e che era vero che suo padre e sua madre potevano prendersela, ed essere contrari, ma lui ormai aveva già di che vivere, perché era avviato alla professione legale, e non aveva nessun timore di non poter mantenere me con l’agio che mi competeva; che, infine, poiché lui pensava che io non avrei voluto vergognarmi di lui, così era deciso lui a non doversi vergognare di me; e avrebbe terribilmente sdegnato possedere, fin d’ora, me che aveva invece deciso di possedere quando sarei stata sua moglie; e perciò io non dovevo far altro che concedergli la mia mano, e a tutto il resto avrebbe pensato lui.

Ero adesso davvero in una situazione tremenda, e mi pentii sinceramente d’essere stata così facile con il fratello maggiore, e non per considerazioni di coscienza, ma in vista della felicità che avrei avuto la possibilità di afferrare, e che era divenuta ora impossibile; poiché, anche se non mi trovavo a lottare, come ho detto, contro troppi scrupoli di coscienza, tuttavia non sapevo pensare di poter essere la puttana di un fratello e la moglie dell’altro. Mi venne in mente che il primo fratello aveva promesso di sposarmi quando sarebbe entrato in possesso dei suoi averi; e subito ricordai quel che avevo spesso pensato, che lui non aveva più detto una parola di farmi sua moglie, dopo avermi conquistata come amante; e in verità, fino a quel momento, sebbene come dico ci avessi pensato spesso, pure la cosa non mi aveva dato nessuna noia, visto che lui non aveva minimamente l’aria di ridurre il suo affetto per me, e non riduceva nemmeno la sua generosità, sebbene fosse così prudente da non volere che io spendessi in abiti nemmeno un soldo di quanto mi dava, né che facessi il minimo sfoggio speciale, perché questo avrebbe fatalmente provocato sospetti in famiglia, dato che tutti sapevano che io sarei potuta arrivare a cose del genere non per via normale, ma solo per mezzo di una relazione intima, che subito potevano immaginare.

Ma ora ero in un grande guaio, e veramente non sapevo che fare. La principale difficoltà era questa: il fratello minore non solo mi poneva l’assedio da vicino, ma lo lasciava capire. Entrava in camera della sorella e della madre, si sedeva e diceva mille cose di me, e a me, perfino in faccia a loro, e quando c’erano tutti. La cosa divenne così pubblica che tutta la casa ne parlò, e sua madre lo rimproverò, e il loro modo di trattarmi presto mutò radicalmente. La madre si lasciò scappare certe frasi, come se avesse in mente di farmi uscire dalla famiglia; vale a dire, in parole chiare, mettermi alla porta. Ora, io ero sicura che la faccenda non poteva essere un segreto per il fratello maggiore, benché costui non potesse immaginare, al pari per la verità di tutti gli altri, che il fratello minore mi si era apertamente dichiarato; ma poiché mi era facile capire che la storia aveva un seguito, capii pure che era assolutamente il caso che io ne parlassi a lui, oppure che lui ne parlasse a me; ma non sapevo da quale delle due cose incominciare, se aprire il discorso io o lasciarlo da aprire a lui.

Dopo seria riflessione, poiché in verità incominciavo a prendere le cose sul serio, come mai avevo fatto fino a quel momento, dopo seria riflessione, dicevo, decisi di parlarne io per prima e non passò molto tempo che mi si presentò l’occasione, in quanto proprio il giorno dopo il fratello minore andò a Londra per affari suoi, e il resto della famiglia si recò come altre volte a far visite; e, come andava sempre a finire in quei casi, lui venne secondo il suo solito a passare un paio d’ore con la signorina Betty.

Quando fu giunto e se ne fu stato un po’ seduto, si accorse facilmente che c’era un mutamento nel mio contegno, che non ero disinvolta e simpatica com’era mia abitudine, e che, in particolare, avevo pianto; non restò a lungo senza rendersene conto e mi chiese in modo molto gentile che cosa c’era, e se qualcosa mi turbava. Avessi potuto, ne avrei fatto a meno; ma non era cosa che si potesse nascondere; così, dopo aver subito molte insistenze per farmi tirar fuori quel che desideravo tanto rivelare, gli dissi che era vero che qualcosa mi turbava, ed era cosa di tal natura che non potevo nascondergliela, e al tempo stesso non sapevo nemmeno come dirgliela; era cosa che mi aveva non soltanto meravigliata, ma anche sbalordita, e io non sapevo che partito prendere, a meno che me lo indicasse lui. E lui, con molta dolcezza, mi disse che, qualsiasi cosa fosse, io non dovevo farmene un cruccio, perché c’era lui a difendermi dal mondo intero.

Io cominciai un po’ da lontano, e gli dissi che avevo paura che le signore avessero avuto qualche informazione segreta sulla nostra relazione; era facile, infatti, accorgersi che il loro comportamento verso di me era mutato da tempo, e le cose erano ora al punto che, di frequente, loro mi facevano colpa di qualcosa, e alle volte si mettevano decisamente contro di me, benché io non avessi mai dato loro il minimo pretesto; e mentre ero avvezza a dormire con la maggiore delle sorelle, di recente mi avevano messa a dormire da sola, o con una delle cameriere; e più di una volta le avevo sentite che parlavano di me in modo molto poco gentile; ma quel che confermava tutto ciò, era che una delle serve mi aveva riferito di aver sentito dire che io ero da mandar via, e che non era prudente per la famiglia che io stessi ancora per troppo tempo in casa.

Lui sorrise quando sentì questo, e io gli chiesi come poteva prenderla tanto alla leggera, dal momento che doveva per forza capire che, se si scopriva qualcosa, io ero finita per sempre, e la cosa poteva recar danno anche a lui, pur senza rovinarlo come me. Gli gettai addosso che era uguale a tutti gli altri del suo sesso, che quando di una donna hanno alla mercé la reputazione e l’onore il più delle volte ci scherzano sopra, o almeno le reputano sciocchezze, e stimano cosa di nessun conto la rovina di chi hanno adoperato come gli pareva.

Lui mi vide bollente e decisa, e cambiò subito stile; disse che gli doleva che io avessi un tale concetto di lui; non me ne aveva mai dato il minimo motivo, s’era preoccupato della mia reputazione, quanto poteva preoccuparsi della sua; era sicuro che la nostra relazione era stata manovrata con prudenza tale che nessuna persona della famiglia poteva averne il benché minimo sospetto; se aveva sorriso mentre io gli rivelavo i miei pensieri, l’aveva fatto per la conferma che di recente aveva avuto, che cioè l’intesa fra noi non era affatto a quel modo conosciuta né sospettata; e quando mi avrebbe detto quali motivi aveva per essere tranquillo, io certo avrei sorriso come lui, perché era sicuro di potermi dare completa soddisfazione.

“Questo è un mistero che non riesco a capire,” dico io, “e non capisco nemmeno perché dovrebbe essere una soddisfazione per me essere messa alla porta. Se la nostra relazione non è stata scoperta, io non capisco che altro ho fatto per far mutare il contegno di tutta la famiglia nei miei riguardi, e indurli a trattarmi come adesso fanno, loro che prima mi dimostravano tanta tenerezza, come fossi stata una figlia.”

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